sabato 11 aprile 2020

La piccola casa all'angolo

La piccola casa all’angolo

Nella piccola casa all’angolo non c’erano luci accese. La sola fiamma del camino illuminava la sala da pranzo e proiettava la sua luce fino alla cucina adiacente. 
Da una settimana ormai non si accendeva una luce, da quando il buon padre di Teresa non era riuscito a pagare la compagnia elettrica e quelli avevano tagliato i fili della corrente. Sì, il buon padre aveva perso il lavoro un mese prima, quando il cantiere della linea ferroviaria che arrivava nella cittadina era stato terminato e non servivano più i muratori. 
Da allora si affannava alla ricerca di un nuovo impiego ma nessuno lo voleva: l’età cominciava a farsi sentire e i quattro figli da crescere non gli lasciavano neppure il tempo per lavarsi il viso. 
La mamma era fuggita qualche anno prima in preda alla pazzia dopo aver dato alla luce il più piccolo dei quattro e da allora non si avevano più notizie di lei e dei suoi spostamenti. 
Teresa aveva un ragazzo. Conosciuto due anni prima alla scuola del quartiere, avevano deciso di sposarsi non appena finiti gli studi. Quando il papà di Teresa era stato licenziato però, il generoso ragazzo era partito con una squadra di carpentieri per guadagnare qualche soldo col quale aiutare Teresa e la sua famiglia e da ormai un anno e tre mesi era lontano da casa. 
Da una settimana non c’era più luce in quella casa e le tenebre e il freddo l’avevano invasa. Il piccolino, che aveva quasi cinque anni, rischiava di ammalarsi gravemente perché la sua stanza era la più fredda della casa e il ghiaccio aveva completamente ricoperto la finestra anche all’interno. Per questo per lui era stata preparata una brandina nella sala da pranzo, l’unica riscaldata dal camino sempre acceso. 
Il padre rimaneva fuori casa per l’intera giornata e rincasava spesso dopo il tramonto. A volte era evidente che prima di rientrare fosse passato alla taverna e avesse annegato nel vino l’ennesima domanda di lavoro rifiutata. Queste per Teresa erano le sere più complicate: oltre ai tre fratelli, per i quali era diventata madre a tutti gli effetti, doveva preoccuparsi anche di mettere a letto il padre. Compito ingrato che le riempiva il cuore di pena per quell’uomo a cui la vita aveva dato tanta sofferenza. 
Teresa era una ragazza forte e sapeva mandare avanti la casa e tenere da parte qualche ora per studiare. Le mancava ormai solo un anno di scuola e non era assolutamente intenzionata ad arrendersi. Il grande camino, acceso giorno e notte era ormai l’unica fonte di vita per la piccola casa all’angolo ma divorava legna a più non posso e la giovane Teresa doveva passare spesso anche più di un pomeriggio al bosco per procurarsi la legna con cui alimentarlo.
L’inverno era calato in anticipo e la prima neve aveva sorpreso le ultime foglie ancora sugli alberi. si stava fabbricando un cappotto, ma anche lei come le foglie era stata sorpresa dalla neve e non lo aveva ancora terminato. D’altra parte il camino continuava a divorare legna e la catasta cominciava a scarseggiare. 
Teresa fu costretta ad avventurarsi nel bosco col solo vestitino che possedeva, senza il cappotto che l’avrebbe riparata dal freddo. Continuava a ripetersi: «coraggio piccola mia, la legna scalda sempre due volte: quando la si taglia e quando la si mette nel camino.» Ma quel pomeriggio la legna non scaldava affatto. Oppure il freddo era più freddo del solito. In ogni caso quando Teresa fece ritorno a casa era mezza assiderata e tutta tremante dalla testa ai piedi. 
Passò qualche ora davanti al camino a leggere gli appunti che le rimanevano per quel giorno, ma alla sera, finito di riordinare la cucina, sentì che qualcosa in lei non andava. Si portò una mano alla fronte e la trovò rovente come il ferro su cui il fabbro batte tutto il giorno e immediatamente si sentì mancare. Non poteva assolutamente ammalarsi! Chi avrebbe mandato avanti la piccola casa all’angolo se lei si fosse ammalata? Chi avrebbe accudito i piccoli fratelli nelle lunghe ore del giorno quando il padre non era a casa, e chi avrebbe accudito lei stessa, inchiodata al letto in preda ai tormenti della febbre? E soprattutto, chi avrebbe sposato il povero ragazzo se di ritorno dal lavoro lontano l’avesse trovata composta nel letto di morte? 
Con questo prima di altri mille pensieri in testa scrisse un telegramma al suo fidanzato chiedendogli di tornare al più presto e lo affidò al maggiore dei suoi fratellini con gli ultimi soldi che le erano rimasti perché corresse a spedirlo, si mise addosso i quattro stracci che stavano prendendo ormai le sembianze di un cappotto e andò a coricarsi nella sua camera.
«Torna presto, muoio» era il testo del telegramma che il giorno seguente raggiunse il ragazzo sul luogo di lavoro. Lui non perse un secondo, salutò i colleghi e senza nemmeno passare dall’alloggio corse alla stazione a prendere il primo treno. 
Il viaggio di andata era durato cinque giorni, ma con la nuova ferrovia e con un po’ di fortuna in tre giorni sarebbe stato a casa dalla povera e morente Anna. 
Prima di salire sul treno scrisse un telegramma in cui chiedeva aggiornamenti e dava indicazioni sul luogo al quale inviare la risposta. Allegava anche alcuni soldi per permettere ad Teresa di scrivergli la risposta.
Il treno fischiava nella nebbia e nella neve di quelle giornate invernali, e al suo interno il futuro marito di Teresa pensava ai più bei momenti che aveva passato con lei. Il ricordo di quella giornata al mare, del viso sorridente di lei circondato dai capelli ancora bagnati, non lo avevano abbandonato per un solo giorno di quei lunghi diciassette mesi passati lontano da casa. La voglia di rivederla, di risentire il calore dei suoi sguardi di rivedere quei riccioli lucenti e quelle labbra delicate, di risentire i suoi lunghi discorsi su chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, di fantasticare insieme a lei della loro povera ma felice vita insieme lo avevano sorretto e sospinto ad andare avanti in quei diciassette lunghi mesi di lavoro durissimo e sfiancante. 
Aveva anche guadagnato una modesta somma di denaro che gelosamente custodiva cucita all’interno della giacca e con la quale avrebbe garantito da vivere a lui e ad Teresa finché non avesse trovato un nuovo lavoro in città. 
Ma di tanto in tanto gli tornava alla mente il pensiero del telegramma. Cosa era accaduto a Teresa? Perché chiedeva il suo aiuto così insistentemente e all’improvviso? Era forse gravemente malata o peggio si era ferita? Attendeva con ansia agghiacciante il telegramma alla stazione successiva e intanto pregava. 
Pregava di avere ancora la possibilità di usare quel denaro per procurar da vivere ad Teresa e alla sua famiglia. Pregava di non dover usare quel denaro per comprare una bara e una lapide alla sua amata. Fremeva al semplice e terribile pensiero di non poter far nulla intanto che la malattia consumava lentamente la vita di lei e i loro sogni di felicità. 
E aveva paura, una paura sempre più forte sempre più opprimente: aveva paura di non arrivare neppure in tempo per vederla un’ultima volta.
Lo scossone dello scambio lo svegliò, alla stazione si precipitò all’ufficio delle poste e dei telegrafi alla ricerca di un messaggio di vita, trovò un messaggio di morte: «Fa’ presto, la febbre sale, muoio.» Ora almeno sapeva che cosa stesse accadendo nella piccola casa all’angolo, Teresa stava consumando la sua ultima vita tra le fiamme della febbre e non era accudita da nessuno.
Non c’era tempo da perdere ma il treno non ripartiva. Le normali operazioni di rifornimento della motrice sembravano ora durare un’eternità. 
Per ammazzare il tempo che doveva ancora attendere il povero ragazzo corse alla farmacia a comprare qualche medicinale col quale sperava di acciuffare la vita di Teresa e di tirarla fuori dalla fossa. 
Tornò che il treno fischiava la partenza. Salì e poco dopo, sopraffatto dall’angoscia e dalla fatica del viaggio cadde in un sonno profondo.
Quando si svegliò il treno era in stazione e i passeggeri erano quasi scesi tutti. 
Sulla banchina trovò il maggiore dei fratellini che, con gli occhi consumati dal pianto, gli disse che era stato mandato da Teresa ad attenderlo alla stazione e che portava con sé gli ultimi saluti della sorella. 
Teresa infatti non sapeva se sarebbe rimasta su questa terra a sufficienza per vedere arrivare il suo ragazzo e aveva affidato i suoi ultimi pensieri al fratellino che li aveva scritti sotto dettatura in un biglietto. Il ragazzo non volle leggere il biglietto per timore di perdere tempo e si precipitò col fratellino verso la piccola casa all’angolo.
Quando arrivarono trovarono davanti alla casa gli altri due fratelli in silenzio e col capo chino. Nessuno si muoveva. 
Il ragazzo chiese di vedere Teresa ma non ottenne risposta. 
Sembravano statue piangenti, non avevano il coraggio di muoversi per non cadere a terra sopraffatti dal dolore. 
Il ragazzo allora entrò e raggiunse la camera, aprì silenziosamente la porta e la vide là, ferma, immobile, ad occhi chiusi, composta, morta. 
Non era arrivato in tempo, la povera Teresa se ne era andata qualche minuto pima, con solo i due fratellini a vegliare su di lei, senza poterlo rivedere nemmeno per un minuto. E lui non aveva potuto vedere la sua Teresa viva nemmeno per un minuto. Dei suoi discorsi intelligenti e allegri gli rimaneva solo un piccolo frammento che stringeva tra le mani, in quel bigliettino scritto con la grafia da elementari del fratello maggiore.
***



In quel preciso istante aprii di soprassalto gli occhi. La guardai, era lì di fianco a me, completamente rilassata, dormiva. In un attimo pensai a quanto fosse bella, a quanto la amassi, la mia Teresa. Ripensai al terribile sogno che avevo avuto e mi girai. La radiosveglia segnava le 7:27. Tra tre minuti si sarebbe messa a suonare e ci avrebbe restituiti alla vita. Avrebbe dato inizio al giorno più bello della nostra vita: il giorno del nostro matrimonio!


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