La piccola casa all’angolo
Nella
piccola casa all’angolo non c’erano luci accese. La sola fiamma del camino
illuminava la sala da pranzo e proiettava la sua luce fino alla cucina
adiacente.
Da una settimana ormai non si accendeva una luce, da quando il buon
padre di Teresa non era riuscito a pagare la compagnia elettrica e quelli
avevano tagliato i fili della corrente. Sì, il buon padre aveva perso il lavoro
un mese prima, quando il cantiere della linea ferroviaria che arrivava nella
cittadina era stato terminato e non servivano più i muratori.
Da allora si
affannava alla ricerca di un nuovo impiego ma nessuno lo voleva: l’età
cominciava a farsi sentire e i quattro figli da crescere non gli lasciavano
neppure il tempo per lavarsi il viso.
La mamma era fuggita qualche anno prima
in preda alla pazzia dopo aver dato alla luce il più piccolo dei quattro e da
allora non si avevano più notizie di lei e dei suoi spostamenti.
Teresa aveva
un ragazzo. Conosciuto due anni prima alla scuola del quartiere, avevano deciso
di sposarsi non appena finiti gli studi. Quando il papà di Teresa era stato
licenziato però, il generoso ragazzo era partito con una squadra di carpentieri
per guadagnare qualche soldo col quale aiutare Teresa e la sua famiglia e da
ormai un anno e tre mesi era lontano da casa.
Da una settimana non c’era più
luce in quella casa e le tenebre e il freddo l’avevano invasa. Il piccolino,
che aveva quasi cinque anni, rischiava di ammalarsi gravemente perché la sua
stanza era la più fredda della casa e il ghiaccio aveva completamente ricoperto
la finestra anche all’interno. Per questo per lui era stata preparata una
brandina nella sala da pranzo, l’unica riscaldata dal camino sempre acceso.
Il
padre rimaneva fuori casa per l’intera giornata e rincasava spesso dopo il tramonto.
A volte era evidente che prima di rientrare fosse passato alla taverna e avesse
annegato nel vino l’ennesima domanda di lavoro rifiutata. Queste per Teresa erano
le sere più complicate: oltre ai tre fratelli, per i quali era diventata madre
a tutti gli effetti, doveva preoccuparsi anche di mettere a letto il padre.
Compito ingrato che le riempiva il cuore di pena per quell’uomo a cui la vita
aveva dato tanta sofferenza.
Teresa era una ragazza forte e sapeva mandare
avanti la casa e tenere da parte qualche ora per studiare. Le mancava ormai
solo un anno di scuola e non era assolutamente intenzionata ad arrendersi. Il
grande camino, acceso giorno e notte era ormai l’unica fonte di vita per la
piccola casa all’angolo ma divorava legna a più non posso e la giovane Teresa doveva
passare spesso anche più di un pomeriggio al bosco per procurarsi la legna con
cui alimentarlo.
L’inverno
era calato in anticipo e la prima neve aveva sorpreso le ultime foglie ancora
sugli alberi. si stava fabbricando un cappotto, ma anche lei come le foglie era
stata sorpresa dalla neve e non lo aveva ancora terminato. D’altra parte il
camino continuava a divorare legna e la catasta cominciava a scarseggiare.
Teresa fu costretta ad avventurarsi nel bosco col solo vestitino che possedeva,
senza il cappotto che l’avrebbe riparata dal freddo. Continuava a ripetersi: «coraggio piccola mia, la legna scalda sempre due volte:
quando la si taglia e quando la si mette nel camino.» Ma quel pomeriggio la legna non scaldava affatto. Oppure il freddo
era più freddo del solito. In ogni caso quando Teresa fece ritorno a casa era
mezza assiderata e tutta tremante dalla testa ai piedi.
Passò qualche ora
davanti al camino a leggere gli appunti che le rimanevano per quel giorno, ma
alla sera, finito di riordinare la cucina, sentì che qualcosa in lei non
andava. Si portò una mano alla fronte e la trovò rovente come il ferro su cui
il fabbro batte tutto il giorno e immediatamente si sentì mancare. Non poteva
assolutamente ammalarsi! Chi avrebbe mandato avanti la piccola casa all’angolo
se lei si fosse ammalata? Chi avrebbe accudito i piccoli fratelli nelle lunghe
ore del giorno quando il padre non era a casa, e chi avrebbe accudito lei
stessa, inchiodata al letto in preda ai tormenti della febbre? E soprattutto,
chi avrebbe sposato il povero ragazzo se di ritorno dal lavoro lontano l’avesse
trovata composta nel letto di morte?
Con questo prima di altri mille pensieri
in testa scrisse un telegramma al suo fidanzato chiedendogli di tornare al più
presto e lo affidò al maggiore dei suoi fratellini con gli ultimi soldi che le
erano rimasti perché corresse a spedirlo, si mise addosso i quattro stracci che
stavano prendendo ormai le sembianze di un cappotto e andò a coricarsi nella
sua camera.
«Torna presto, muoio» era il testo del telegramma che il
giorno seguente raggiunse il ragazzo sul luogo di lavoro. Lui non perse un
secondo, salutò i colleghi e senza nemmeno passare dall’alloggio corse alla
stazione a prendere il primo treno.
Il viaggio di andata era durato cinque
giorni, ma con la nuova ferrovia e con un po’ di fortuna in tre giorni sarebbe
stato a casa dalla povera e morente Anna.
Prima di salire sul treno scrisse un
telegramma in cui chiedeva aggiornamenti e dava indicazioni sul luogo al quale
inviare la risposta. Allegava anche alcuni soldi per permettere ad Teresa di
scrivergli la risposta.
Il treno
fischiava nella nebbia e nella neve di quelle giornate invernali, e al suo
interno il futuro marito di Teresa pensava ai più bei momenti che aveva passato
con lei. Il ricordo di quella giornata al mare, del viso sorridente di lei
circondato dai capelli ancora bagnati, non lo avevano abbandonato per un solo
giorno di quei lunghi diciassette mesi passati lontano da casa. La voglia di
rivederla, di risentire il calore dei suoi sguardi di rivedere quei riccioli
lucenti e quelle labbra delicate, di risentire i suoi lunghi discorsi su chi
siamo, da dove veniamo, dove andiamo, di fantasticare insieme a lei della loro
povera ma felice vita insieme lo avevano sorretto e sospinto ad andare avanti
in quei diciassette lunghi mesi di lavoro durissimo e sfiancante.
Aveva anche
guadagnato una modesta somma di denaro che gelosamente custodiva cucita
all’interno della giacca e con la quale avrebbe garantito da vivere a lui e ad
Teresa finché non avesse trovato un nuovo lavoro in città.
Ma di tanto in tanto
gli tornava alla mente il pensiero del telegramma. Cosa era accaduto a Teresa?
Perché chiedeva il suo aiuto così insistentemente e all’improvviso? Era forse
gravemente malata o peggio si era ferita? Attendeva con ansia agghiacciante il
telegramma alla stazione successiva e intanto pregava.
Pregava di avere ancora
la possibilità di usare quel denaro per procurar da vivere ad Teresa e alla sua
famiglia. Pregava di non dover usare quel denaro per comprare una bara e una
lapide alla sua amata. Fremeva al semplice e terribile pensiero di non poter
far nulla intanto che la malattia consumava lentamente la vita di lei e i loro
sogni di felicità.
E aveva paura, una paura sempre più forte sempre più
opprimente: aveva paura di non arrivare neppure in tempo per vederla un’ultima
volta.
Lo scossone
dello scambio lo svegliò, alla stazione si precipitò all’ufficio delle poste e
dei telegrafi alla ricerca di un messaggio di vita, trovò un messaggio di morte:
«Fa’ presto, la febbre sale, muoio.» Ora almeno sapeva che cosa stesse accadendo nella piccola
casa all’angolo, Teresa stava consumando la sua ultima vita tra le fiamme della
febbre e non era accudita da nessuno.
Non c’era tempo da perdere ma il treno non
ripartiva. Le normali operazioni di rifornimento della motrice sembravano ora
durare un’eternità.
Per ammazzare il tempo che doveva ancora attendere il
povero ragazzo corse alla farmacia a comprare qualche medicinale col quale
sperava di acciuffare la vita di Teresa e di tirarla fuori dalla fossa.
Tornò
che il treno fischiava la partenza. Salì e poco dopo, sopraffatto dall’angoscia
e dalla fatica del viaggio cadde in un sonno profondo.
Quando si
svegliò il treno era in stazione e i passeggeri erano quasi scesi tutti.
Sulla
banchina trovò il maggiore dei fratellini che, con gli occhi consumati dal
pianto, gli disse che era stato mandato da Teresa ad attenderlo alla stazione e
che portava con sé gli ultimi saluti della sorella.
Teresa infatti non sapeva
se sarebbe rimasta su questa terra a sufficienza per vedere arrivare il suo
ragazzo e aveva affidato i suoi ultimi pensieri al fratellino che li aveva
scritti sotto dettatura in un biglietto. Il ragazzo non volle leggere il
biglietto per timore di perdere tempo e si precipitò col fratellino verso la
piccola casa all’angolo.
Quando
arrivarono trovarono davanti alla casa gli altri due fratelli in silenzio e col
capo chino. Nessuno si muoveva.
Il ragazzo chiese di vedere Teresa ma non
ottenne risposta.
Sembravano statue piangenti, non avevano il coraggio di
muoversi per non cadere a terra sopraffatti dal dolore.
Il ragazzo allora entrò
e raggiunse la camera, aprì silenziosamente la porta e la vide là, ferma,
immobile, ad occhi chiusi, composta, morta.
Non era arrivato in tempo, la
povera Teresa se ne era andata qualche minuto pima, con solo i due fratellini a
vegliare su di lei, senza poterlo rivedere nemmeno per un minuto. E lui non
aveva potuto vedere la sua Teresa viva nemmeno per un minuto. Dei suoi discorsi
intelligenti e allegri gli rimaneva solo un piccolo frammento che stringeva tra
le mani, in quel bigliettino scritto con la grafia da elementari del fratello
maggiore.
***
In quel preciso istante aprii di soprassalto gli occhi. La guardai, era lì di fianco a me, completamente rilassata, dormiva. In un attimo pensai a quanto fosse bella, a quanto la amassi, la mia Teresa. Ripensai al terribile sogno che avevo avuto e mi girai. La radiosveglia segnava le 7:27. Tra tre minuti si sarebbe messa a suonare e ci avrebbe restituiti alla vita. Avrebbe dato inizio al giorno più bello della nostra vita: il giorno del nostro matrimonio!
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.